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Sesquipedalofobia, la fobia delle parole lunghe

Sesquipedalofobia, la fobia delle parole lunghe
Pubblicato il
22.9.2022

Quando un oggetto, un animale o una situazione hanno un effetto spaventoso tanto da provocare reazioni fisiche e psicologiche intense, siamo davanti a una fobia. A differenza della paura, per sua natura emozione transitoria, una fobia distorce la percezione del pericolo che, spesso, non è realmente minaccioso. 

Di fobie ce ne sono parecchie (tra le più diffuse ci sono l'aracnofobia e l’agorafobia), e in questo articolo ci concentreremo su una particolare fobia specifica: la paura delle parole lunghe. Sì, tra le tantissime fobie, esiste la fobia delle parole lunghe che, sembra ironico, è definita con una parola davvero, davvero molto lunga.

Ma come si chiama la paura delle parole lunghe? La forma corretta per descrivere la paura delle parole lunghe è hipopotomonstrosesquipedaliofobia, oppure hippopotomonstrosesquipedaliofobia (con due p) che utilizzeremo in questo articolo come sinonimi. Ma cosa vuol dire hippopotomonstrosesquipedaliofobia, letteralmente?

Fobia delle parole lunghe: uno sguardo al dizionario

La parola hippopotomonstrosesquipedaliofobia ha etimologia greca e sta a indicare la sensazione di “paurosa grandezza” evocata dall’immagine di un grande e mostruoso ippopotamo nel fiume. Per spiegare ancora meglio, però, il nome della fobia delle parole lunghe, analizziamo la semplificazione di hippopotomonstrosesquipedaliofobia, ovvero sesquipedalofobia (o sesquipedaliofobia).

In questo caso, la radice della parola utilizzata per descrivere la paura delle parole lunghe (in modo leggermente più semplice), è latina e letteralmente significa “lungo un piede e mezzo”. Questo vocabolo veniva utilizzato già nell’antichità in relazione alla metrica dei componimenti poetici, il cui ritmo veniva scandito battendo il tempo con il piede (da cui pedalis, piede) in associazione con sesqui (da semisque, ovvero mezzo in più).

Possiamo dunque comprendere il motivo per cui la paura delle parole lunghe (e la paura o incapacità di pronunciare parole lunghe) abbia assunto questo nome, tanto complicato quanto chiaro nel suo significato etimologico. 

Una fobia come l’hipopotomonstrosesquipedaliofobia può compromettere la vita della persona che ne soffre, incidendo sulle relazioni e su altri aspetti quotidiani, come il lavoro. Vediamo meglio in che termini.

come si chiama la paura delle parole lunghe
lil artsy - Pexels

Paura delle parole lunghe: cause e sintomi

Ora che sappiamo come si chiama la fobia delle parole lunghe, vediamo perché una persona può avere questa fobia e come si manifesta fisicamente e psicologicamente. 

Come per tutte le fobie specifiche, annoverate nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) tra i disturbi d’ansia, l’hippopotomonstrosesquipedaliofobia può avere origine da un evento traumatico

Ma questa fobia può essere anche l’effetto secondario di altre condizioni, come il disturbo d’ansia sociale o i disturbi specifici dell’apprendimento -DSA- (nella dislessia, ad esempio, si riscontrano difficoltà specifiche nella lettura con omissioni, sostituzioni di lettere e distorsioni di parole).

Nel caso delle persone che hanno paura delle parole lunghe, potrà essersi trattato, per esempio, di un forte imbarazzo provato per non essere riusciti a pronunciare correttamente una parola con tante sillabe. La spiacevole sensazione che la persona può conservare di una simile esperienza, può provocare:

In termini psicologici, l'hipopotomonstrosesquipedaliofobia può provocare anche evitamento (ovvero il tentativo di evitare la situazione in cui si può incorrere nell’oggetto fobico), rimuginio, attacchi d’ansia. I sintomi fisici di chi ha la fobia delle parole lunghe sono comuni a quelle di altre fobie. Tra questi sintomi, i più diffusi sono:

  • tachicardia
  • nausea
  • palpitazioni
  • vertigini
  • sudorazione.

Come affrontare la paura delle parole troppo lunghe

La fobia delle parole lunghe è una fobia piuttosto rara ma, non per questo, meno invalidante di altre fobie come la megalofobia (paura delle cose grandi) o l’emetofobia (paura del vomito), o di quelle subordinate alla zoofobia (paura degli animali) come l’entomofobia (paura degli insetti) o ancora a problematiche come la tripofobia (non proprio una fobia, ma più il disgusto provocato dalla visione dei buchi).

Se la persona sesquipedaliofobica svolgerà una professione che la porta a contatto con un vasto pubblico, o magari sarà insegnante, ad esempio, una fobia come questa potrà avere ripercussioni anche di una certa entità, provocando attacchi di panico, depressione e bassa autostima.

Si può affrontare una fobia all’interno di un percorso di psicoterapia, cui validi strumenti potrebbero essere la respirazione diaframmatica, gli esercizi di mindfulness per l’ansia e il training autogeno. Un percorso di terapia psicologica inoltre, lavorerà sugli aspetti traumatici (se presenti) che hanno causato la fobia e sui comportamenti disfunzionali della persona che la prova, affinché questi vengano pian piano modificati attraverso l’esposizione all’oggetto fobico.

Attraverso specifiche tecniche di psicoterapia, anche la fobia delle parole troppo lunghe può essere affrontata e superata. La terapia può essere svolta anche con uno psicologo online Unobravo che verrà abbinato al paziente dopo la compilazione dell’apposito questionario e scelto tra i professionisti Unobravo più idonei alla problematica indicata dal paziente.

Curiosità sulla paura delle parole lunghe

In questo articolo abbiamo parlato di come si chiama la paura delle parole lunghe, specificando brevemente che significa hippopotomonstrosesquipedaliofobia. Ma questa fobia non è l’unica che ruota intorno al mondo delle parole e alla loro pronuncia.

Alla fobia delle parole, che per una definizione generica chiameremo logofobia, si affiancano anche:

  • la glossofobia, ovvero la paura di parlare in pubblico
  • la grafofobia, la paura di scrivere 
  • la aibofobia, cioè la presunta paura dei palindromi (la definizione stessa è un palindromo), a cui anche il noto enigmista Stefano Bartezzaghi ha dedicato una riflessione basata proprio sul paradosso creato da questa ipotetica fobia. 

Questo è un contenuto divulgativo e non sostituisce la diagnosi di un professionista.
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